Sancta Cruce.
 
Taranto. Mare e acciaio. Null’altro, dicono. Difficilissimo per me, che qui ho passato gran parte della mia vita, raccontarla per immagini in maniera analitica e senza troppo coinvolgimenti. Così per realizzare questo reportage, Sancta Cruce, ho ripercorso i luoghi paterni della mia genealogia. Quelli che frequenti da bambino e che poi smarrisci e dopo decenni ricompaiono all’improvviso.  Un’area che non raggiunge il chilometro quadrato, un piccolissimo borgo leggermente ai margini della città. A Nord. Su un promontorio antichissimo che un tempo, lontanissimo, fu probabilmente uno dei luoghi più frequentati dell’antica Taranto. Il borgo prende il nome di Rione Croce.
 
Qui è nato mio padre. Qui sono nati i suoi fratelli prima di lui. All’inizio degli anni cinquanta, questo borgo contava più di 500 abitanti. Solo dieci anni dopo la popolazione scese a poco meno di 100. L’industria, l’ampliamento portuale, quello ferroviario e il cimitero a Nord, come un boa constrictor , hanno sezionato, stritolato e usurpato ogni centimetro di storia. Sbancamenti scellerati, devastazioni siderurgiche - si pensa che per la costruzione dell’intero indotto siderurgico siano state rase al suolo una trentina di antichissime masserie tra le più grandi di Puglia - ed esplosioni di progresso inarrestabili, catapultarono la città ionica in una dimensione che fino a quel momento non era mai appartenuta a nessuno. Oggi di quell’antico borgo, abitato fin dai tempo della preistoria ininterrottamente, restano pochissime tracce: alcune lungo il ponte  che collega la citta con le strade statali SS106 e SS100. 
 
Le poche case d’inizio secolo sopravvissute sono state sopraffatte dalle esigenze contemporanee si utilizzo. Una parte della mia famiglia conserva ricordi e averi proprio qui; in questi luoghi in cui se non ci fossero rumori e odori nauseabondi sembrerebbe tutto fermo al tempo in cui il tempo era fermo da millenni. Prima che la spietata modernità, inarrestabile, cancellasse la memoria. Un senso di vuoto assoluto, di silenzio apparente, inevitabilmente rappresentato in questo reportage escludendo totalmente l’uomo, ma marcando in maniera tangibile e forte gli effetti che l’uomo stesso ha lasciato, e purtroppo lascia, su un territorio pesantemente e storicamente compromesso. 
 
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